Pubblicato in: Teatro

Freud o l’interpretazione dei sogni al Piccolo di Milano. Ecco perché non perderlo

Freud o l'interpretazione dei sogni recensione
Ph Masiar Pasquali

“I sogni ci insegnano a esplorare la parte più arcana di noi, l’io che non sappiamo d’essere, l’essere che non sappiamo di avere. L’altro da me, l’io che sono senza volerlo. […] il sogno non aveva bisogno di esser rilegato per forza in una trama: si componeva di immagini”. È proprio da queste parole pronunciate, nei primi minuti, da Freud (Fabrizio Gifuni) che vogliamo partire nel parlarvi di Freud o l’interpretazione dei sogni, in scena fino all’11 marzo al Piccolo Teatro Strehler di Milano (e produzione del Piccolo Teatro).

L’espressione “costruttore di immagini” si rivela sin dall’ingresso in sala: il sipario è aperto su una proiezione in bianco e nero che suggerisce immediatamente il labirinto della mente e i links che il protagonista – e noi con lui – dovremo fare. Sull’ouverture ‘Die Fledermause‘ di J. Strauss prende le mosse un valzer con cui, da un lato ci viene indicata l’estrazione sociale dei pazienti, dall’altro si assaporano le note di un tempo che sta per chiudersi per solcare il Novecento, dove ci si domanderà fino in fondo su quell’altro da noi. “Mi sono chiesto più volte dove fosse l’inizio. Da dove provenivano quelle immagini?” s’interroga lo psicanalista autoanalizzando il sogno con le lucertole (di cui si è appropriato dal dottor Delbœuf).

Non è affatto semplice raccontare uno spettacolo come questo. Il primo invito è quello di andare a vederlo perché è un’esperienza che va fatta in prima persona, forse ancor più in questo caso e coerentemente con quello che è il percorso di psicanalisi. Ci preme evidenziarlo: Freud o l’interpretazione dei sogni non vuole né può essere una seduta psicanalitica, ma se, come ci insegnava Shakespeare, “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, con le parole di Stefano Massini, incarnate dagli attori (riduzione e adattamento di Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi, con quest’ultimo che ne cura la regia), grazie alla potenza del teatro, si prova a far i conti con quei sogni. Il primo a farlo è proprio Freud, che si distingue in volto dai pazienti (tutti lo hanno dipinto di bianco perché proiezione della sua mente o figure di un sogno?), del resto è lui che dovrebbe far calare la maschera, ma per farlo – ci suggerisce la pièce – deve cominciare da sé.

Ogni paziente, a partire da Tessa W. (un’Elena Ghiaurov volutamente sopra le righe per dirci subito come essi siano degli archetipi) apre uno squarcio nel percorso di conoscenza di se stesso e dell’altro, affrontando diverse tematiche, compresa la censura all’interno della coppia.

Tiezzi, assecondando il testo, fornisce dei veri e propri indizi allo spettatore, basti pensare a Greta S., la quale teme le porte chiuse. Valentina Picello le conferisce le giuste sfumature di ragazza fragile, in cerca di protezione, desiderosa della porta socchiuse perché le dà sicurezza – o almeno così si racconta. Nel corso della rappresentazione si ha modo di toccare un altro tipo di fragilità, quella di Elga K. (la brava Sandra Toffolatti) alle prese con un marito (Umberto Ceriani) invadente, persino nel sogno. I pazienti si presentano in terza persona per poi dialogare con quell’altro “tu” – alcuni fino a controbattere.

Non era facile per gli interpreti masticare questa materia drammaturgica, “impalpabile” più che in altri casi, probabilmente inafferrabile come lo sono in fondo i sogni. Qualcuno potrà avere una percezione di frammentarietà, ma nella realtà, quando ci svegliamo dal sogno, talvolta neanche ricordiamo cosa abbiamo provato e visto.

Tassello dopo tassello, il mosaico si ricompone con un escamotage visivo che rende ancora più esplicito quanto tutto il “gioco teatrale” parli di e a noi.

Tocca a Fabrizio Gifuni tenere il bando della matassa come un funambolo della parola, incarnandola impeccabilmente in un corpo che vibra del desiderio di conoscersi (e conoscere) e in una voce in cui, a tratti, riecheggia l’Amleto Pirobutirro del suo indimenticabile ‘L’ingegner Gadda va alla guerra‘ (regia di Giuseppe Bertolucci). Freud-Gifuni vibra della vertigine che si prova sull’orlo dell’abisso (a enfatizzare il tutto ci pensa il piano inclinato), facendola sfiorare a vari livelli, a seconda dello stato con cui il pubblico sta nell’hic et nunc del tempo della rappresentazione.

Ci preme citare tutti gli altri componenti dell’ottima compagnia che coadiuvano alla riuscita; (in o.a.) Nicola Ciaffoni, Giovanni Franzoni, Alessandra Gigli, Michele Maccagno, Davide Meden, Bruna Rossi, Stefano Scherini, Debora Zuin. Ogni accento e ciascun movimento scenico sono studiati – senza però risultare artificiosi – compresi i gesti speculari, in particolare, con Ludwig R. (Marco Foschi), esaltati dalla regia dal taglio cinematografico di Tiezzi, che confeziona una “scatola” che prende vita grazie agli attori. È un po’ come accade per le parole sulla pagina bianca quando tornano in posizione verticale, nei corpi, arrivando dritti alla mente e al cuore di chi se le vede arrivare di fronte.

Cosa vuol dire che la vita si sgretola dalle mani? Freud o l’interpretazione dei sogni ce ne restituisce la percezione mentre si è – apparentemente – comodi nella poltroncina rossa di velluto che, traslando, potrebbe diventare quella della seduta psicanalitica, senza, però, avere l’ambizione di esserlo. “In fondo” è teatro. Partecipando a un rito collettivo, si guarda davanti e dentro di sé fino a quando il velo viene squarciato.

Alla fine dello spettacolo sembra proprio di aver visualizzato il processo di associazione teorizzato da Freud – e chissà quante associazioni, consce e non, farà scaturire nel pubblico.

«Il teatro ci rende consapevoli del bene e del male detergendo dal suo belletto il volto della menzogna, smascherando la vita» (recensione di Carlo Emilio Gadda dell’ ‘Amleto’ al Teatro Valle, 1952). A noi sta accogliere tutto ciò e proseguire lo scavo fuori dalla scatola magica.

Freud o l’interpretazione dei sogni: il trailer ufficiale

Riassumendo

Freud o l’interpretazione dei sogni, dal 23 gennaio all’11 marzo 2018

Piccolo Teatro Strehler

DURATA: 150′ più intervallo

ORARI: lunedì riposo; martedì, giovedì e sabato h 19,30; mercoledì e venerdì h 20,30 (salvo mercoledì 28 febbraio h 15 per le scuole); domenica h 16.

PREZZI: platea 33€; balconata 26€

Etichette: