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YaMatt: “le sonorità dei pezzi che ascolterete non sono mai state prodotte in Italia”

YaMatt intervista
YaMatt

Questo febbraio milanese è ricco di live, non solo dei grandi nomi della musica, ma anche di nuovi artisti emergenti.

Per esempio, venerdì 22 febbraio al Rocket Club di Milano YaMatt, Matteo Galvani all’anagrafe, ha aperto il concerto della rapper Priestess.

Il nome non è nuovo, dal momento che la sua hit Leone, presentato durante il talent “Amici”, ha raggiunto più di 36.000 stream su Spotify e più di 65.000 visualizzazioni su YouTube.

Non è tutto, perché YaMatt sta lavorando al nuovo album con il produttore Riccardo Sciré.

La nostra intervista a YaMatt

Quali sono stati i riferimenti musicali per i tuoi pezzi?

Ascolto qualsiasi cosa, dalla musica coreana a quella americana, ancora da Calvin HarrisPunti alla musica anni 70.

E poi ci sono i riferimenti dalla musica rap, tra cui Kanye West, Kendrick Lamar e Logic.

Come è nato il brano Leone?

Mi sono seduto al pc con l’idea di voler fare un bit funky, molto movimento e Pharrell Williams mi ha ispirato molto.

Invece, per quanto riguarda il testo l’obiettivo era quello di arrivare dritto al punto, essere diretto ecco perché la figura del leone come metafora: ruggire.

Sostanzialmente quel pezzo invita a ruggire, cioè reagire, rispondere fregandosene delle critiche negative degli altri e fare quello che ci piace.

E perché la gente dovrebbe ascoltare i tuoi pezzi?

Perché ho le sonorità più internazionali, nuove e fresche di questo ambiente musicale!

Scherzi a parte, ci siano dei pezzi che ascoltandoli con attenzione si può dire che sono nuovi e non sono mai stati fatti in Italia.

E di questo, ne sono sicuro al cento per cento.

E qual è il tema centrale di questo lavoro?

È quello di prendere i tuoi desideri e renderli reali.

Come sta procedendo la produzione del nuovo album?

Ci sto lavorando con Riccardo Sciré, il produttore di Riki, e sento che con lui c’è stato un upgrade sonoro evidente: ho visto le mie idee arrivare ad una forma giusta.

In questo album ci sarà un pezzo che sarà un misto fra trap e rock, un altro funky con influenze daft punk e un pezzo trap molto sentimentale.

Ami molto il cinema, cosa hai visto ultimamente?

È vero, guarda tantissimi film e ultimamente ho visto GreenBook, Il settimo sigillo e, per l’ennesima volta, ho rivisito Shining.

Tra l’altro, non avevo mai visto Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, del 1957; si vede che è di uno svedese perché non c’è quella censura tipica degli americani: è crudo ed è bellissimo così.

Ho guardato di tutto, dai film dei fratelli Lumière, Chaplin, Kubrick, Hitchcock, Scorsese, Coppola, Wes Anderson e sono stato influenzato da tutti loro.

Hai avuto molte esperienze, più o meno legate alla musica, come l’attività di video making che ti ha permesso di collaborare con molti artisti, come Mengoni, Måneskin. Come hai vissuto queste esperienze con artisti così diversi tra loro?

Tutto è nato durante l’ultimo anno del Liceo, ho iniziato come stagista per il video di Alessandra Amoroso e, mentre tenevo un pannello di polistirolo in mano, mi sono fatto notare.

Quel giorno mancava la persona che si occupava del video backstage e mi sono proposto per sostituirlo e da lì mi hanno chiesto di fare l’aiuto regia.

Mi hanno messo alla prova, dandomi più responsabilità.

Credo che bisogna sempre farsi notare ed essere sempre positivi.

Quindi, oltre alla musica continui con questa attività?

Sì, per esempio in questo periodo sto frequentando un corso post-produzione.

Inoltre, ho diretto i video di tutti i miei brani e sto organizzando un fashion film che girerò in Sardegna.

Punto comunque ad occuparmi della regia di altri prodotti di cui mi arrivano proposte.

In tutti questi impegni, non è mancata la recitazione.

Sì, ho interpretato me stesso con la mia band in un film, me stesso come regista nel video Fenomeno di Fabri Fibra.

Fai parte di quel genere musicale che negli ultimi anni ha avuto grande rilevanza, ma cosa pensi della musica indipendente e dell’indie come genere?

Per me è indie, nel senso di indipendente, chi si mette in camera e produce le sue tracce, che siano rap o alternative rock è indifferente.

Poi c’è lo stereotipo della persona indie: la barba, gli occhiali da vista, i calzini a vista dalle Vans.

Diciamo che sono un po’ hipster.

Lo sono?

No. Anzi, forse sì. Anche se lo sto prendendo un po’ in giro, e ovviamente sono incluso anche io, mi piace molto come ambiente.

Capisco che da fuori possano dar questa idea, ma alla fine è solo un modo per essere giovani.

Come vivi l’esperienza del live?

Quando suonavo con il gruppo, prendevo ispirazioni dalle grandi band guardando i loro live come quelli dei Red Hot Chili Peppers e The Rage Against The Machine, che sono dei veri animali da palcoscenico.

Da loro ho imparato che bisogna tener il palco e caricare la gente, trasmetterle energia e farle venir voglia di ascoltare, cantare e ballare le proprie canzoni.

Cos’è per te l’arte?

Quando tutto è stato già fatto, l’unico modo per fare qualcosa di nuovo è prendere quello che è già stato fatto a piccoli pezzi e metterli insieme: ne viene fuori un collage, un qualcosa di nuovo.

Per esempio, come Andy Wharol che prendeva le foto delle persone famose e le mixava con i colori: un collage fatto con il suo stile.

Prendere la raffigurazione della realtà dell’uno e di un altro, usare la tua chiave di interpretazione per comunicare un messaggio che ti appartiene.

È questa l’arte che evolve ed io voglio fare la stessa cosa con la mia musica e i miei video.

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