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Rosmy: dal Premio Mia Martini fino al nuovo album Universale

Rosmy intervista
Foto di Tiziana Orru Photography

Vincitrice del Premio Mia Martini “Nuove Proposte per l’Europa 2016” e “Miglior brano radiofonico” con “Un istante di noi”, prodotto da Enrico “Kikko” Palmosi, Rosmy presenterà i brani del suo ultimo lavoro “Universale”.

Inoltre, con il singol “Inutilmente”, uscito nell’estate del 2018, è stata finalista al Premio Lunezia.

L’appuntamento con il suo pubblico è al Mondadori Megastore di Milano a partire dalle ore 18:30 e per l’occasione la cantautrice sarà accompagnata dal chitarrista Renato Caruso e dal violoncellista Mattia Boschi.

Rosmy è tra le artiste che hanno affrontato e portato avanti tematiche sociali, dal bullismo al ghosting, dall’indifferenza alla quotidiana frenesia, nei propri lavori, esponendosi e non lasciando al disimpegno la propria musica.

L’appuntamento è in via Marghera, 28.

La nostra intervista a Rosmy

In quest’album c’è tanta influenza delle belle voci italiane. Chi sono i tuoi punti di riferimento, le artiste che ti hanno formato e che ti accompagnano ancora oggi.

Ho sempre ascoltato la musica a 360° quindi non c’è stata una sola artista, infatti c’è stato un periodo in cui mi piaceva tanto Elisa piuttosto che Alanis Morissette, che considero una grande ricercatrice sia vocalmente che musicalmente.

Non solo, anche la musica rock e in particolare Gianna Nannini.

E, in modo particolare, Mia Martini Mia Martini che è sempre stata una forza per me e non è una cosa “scontata”, perché è da quando ero piccola che me la porto “addosso”.

Ancor di più quando ho vinto il Premio Mia Martini nel 2016.

Ecco, mi racconti di quell’esperienza?

Partecipare al Premio è stata una scelta, addirittura ho messo da parte Sanremo per poter partecipare.

Mi sono presentata con il brano “Un istante di noi” scritto con Enrico Palmosi quando mi sono trasferita a Milano da Roma.

Nel momento in cui ho vinto il Premio, ne ho sentito il peso: mi sono rivista in tante cose di lei.

Addirittura, il patron del premio mi ha detto che le somigliavo in alcune cose.

In cosa le assomigli?

Il modo di essere. Non vuole essere assolutamente un confronto, anzi.

Come lei, i brani li devo vivere anche se è stato scritto da un altro: devo avere tempo per sentirlo bene, in modo chiaro prima di arrivare ad interpretarlo.

Non sono un karaoke.

E anche nella caparbietà.

Hai visto il film? Cosa ne pensi?

Sì, l’ho visto e l’ho trovato molto bello e Serena Rossi è stata davvero brava.

Non è facile interpretare Mia Martini, mi metto nei suoi panni, sia per la donna che per l’artista che era.

Si è sottoposta a giudizi, critiche come quando canti un brano di Mia Martini.

Perché lei è Mia Martini, ma Serena Rossi è stata bravissima e in tanti momenti sembrava proprio lei, anche nella voce.

Nasci come attrice. Perché hai preferito il mondo della musica?

Fare musica è stata una scelta, nonostante avessi raggiunto dei traguardi molto importanti nel mondo del teatro e molti critici importanti scrivevano di me, in modo positivo.

Facevo parte di una delle compagnie più importanti di Roma, il Centro Mediterraneo delle Arti.

Ma mi sono sentita molto più vicina al mondo della musica: Ho convinto il regista inserire nello spettacolo di teatro civile quelli che raccontava testi popolari, brani popolari, musica popolare.

E ho cantato questi brani in tutt’Italia, siti archeologici e addirittura mi sono ritrovata a camminare scalza nel Tempio di Hera: si sentiva un’energia pazzesca, un connubio tra presente e passato.

Ad un certo punto, l’ambiente teatrale mi stava stretto e sentivo che volevo fare altro; così mi sono trasferita da Roma a Milano.

Volevo dire qualcosa ed esprimere la mia energia: sono frenetica nelle cose che faccio, c’è questa forza dentro di me.

Sono continuamente alla ricerca di me stessa.

Hai parlato dell’importanza del passato e di identità.

Esatto.

Inoltre, ho scoperto di essere un’erede della famiglia Trinchitella, musici e girovaghi di arpa e violino, che hanno portato a New York e Parigi la tradizione dell’arpa “Viggianese”.

Questo tipo di arpa ha 20 corde e veniva costruito in un piccolo paese della Basilicata, facile da trasportare grazie alle dimensioni ridotte.

Sento che questo mi “rafforza” e l’identità è importantissima: mi sono documentata molto sulle mie origini per conoscere e capire meglio me stessa.

Adesso mi spiego molte cose, per esempio perché amo viaggiare e sento spesso la necessità di cambiare città, fare musica: è nel mio DNA.

Ho capito che la verità, la forza di ognuno di noi sta nel proprio essere, nella propria vita, nella propria famiglia e luogo.

È importante sapere e capire da dove si proviene, la propria storia e quella della famiglia.

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