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Un gioiello del centro di Milano: Palazzo Odescalchi

Palazzo Odescalchi

Mentre si passeggia per il centro storico di Milano, magari tenendo il naso all’insù, ci si può accorgere di diversi palazzi che ricordano un’epoca passata e che non passano certo inosservati, grazie ai loro terrazzi, balconi o alle simbologie che li caratterizzano,

In particolar modo in zona Missori se ne trovano diversi che raccontano in modo silenzioso ma eloquente la loro storia. Uno di questi è Palazzo Erba Odescalchi, posto in via dell’Unione 5 e oggi sede della II circoscrizione di Polizia e di un museo anticrimine.

La storia di Palazzo Odescalchi

Palazzo Erba Odescalchi, in epoca conosciuto anche come Palazzo Cusani, si trova in quella che era definita la “contrada dei nobili”. Oggi è nota come via dell’Unione, nome conferitole sia come augurio simbolico dell’Italia libera, sia in quanto univa Corso di Porta Romana, prima dell’apertura di via Mazzini, con Via Torino.

La famiglia Cusani iniziò i lavori verso la fine del Cinquecento affidandoli a Pellegrino Tibaldi, anche se i segni gotici ritrovati testimoniano un’origine più antica. Il palazzo fu poi dimora e luogo degli ultimi giorni del vescovo Benedetto Erba Odescalchi, dal quale prese poi il nome che oggi conosciamo: Erba Odescalchi.

Al termine della seconda guerra mondiale il palazzo Erba Odescalchi ospitò la comunità ebraica, venendosi a configurare come luogo di rifugio, mensa e tempio per accogliere i sopravvissuti dai campi di concentramento. Dal 1945 fino al 1952 fu sede della sinagoga ebraica e in centinaia varcarono le porte del Palazzo Erba Odescalchi, considerato luogo di salvezza.

L’architettura di Palazzo Odescalchi

Il portone d’ingresso risulta leggermente decentrato rispetto al palazzo. Guadando in alto spiccano all’occhio i dodici busti di imperatori romani posti nei timpani del piano nobile. Proseguendo nel cortile interno si notano i busti di figure femminili, probabilmente imperatrici.

Il Palazzo era collegato al vicino Palazzo Ducale, poi demolito, nel quale abitava Ippolita Bentivoglio. Si tratta della figlia di Ludovico il Moro, ritratta anche negli affreschi della chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore dal Luini.

L’intero edifico rappresenta gli stili e i canoni del Cinquecento, ravvisabili anche nel tipico scalone elicoidale con una balaustra decorata a rosette. L’eleganza emerge da ogni dettaglio del cortile con archi e finestre identiche a quelle della facciata esterna. Il giardino, che oggi non è più visibile, un tempo era molto noto per i giochi d’acqua.