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Tutto parla di te: la recensione e l’intervista ad Alina Marazzi

Valentina Fumo 11 anni fa

Devi essere felice e devi essere perfetta: mai troppo stanca, mai troppo poco sorridente, mai troppo trascurata. E invece, no: tante donne si sentono inadatte al privilegio di essere madri, divise fra la responsabilità verso un nuovo essere umano totalmente dipendente da loro e la paura di non essere più se stesse.

Non si riconoscono più perché la gravidanza le lascia con un corpo cambiato troppo velocemente e con il peso del senso di colpa per quel sentimento in bilico fra l’amore totale e il rifiuto per il proprio bambino.

Vivono un’ambivalenza e una aggressività inespressa che non riescono a confessare a nessuno perché la vergogna e la paura di essere giudicate indegne come madri è troppo grande e cadono in una condizione di depressione che è sempre esistita e su cui è doveroso rompere il silenzio.

Proprio la depressione post partum è il tema del toccante e delicato Tutto parla di te, l’ultima opera di Alina Marazzi.

Nato dalla riflessione della stessa regista sulla sua esperienza come mamma, il film chiude idealmente il cerchio aperto dieci anni fa con Un’ora sola ti vorrei, il pluripremiato documentario che la Marazzi ha dedicato alla madre, Líseli Hoepli, prematuramente scomparsa.

In un centro torinese per la maternità, Pauline -interpretata da una magnifica Charlotte Rampling– sulla base di testimonianze e video raccolte dall’amica Angela, intraprende una ricerca sulle esperienze e i problemi delle mamme di oggi. Tra le donne che frequentano il Centro c’è Emma (Elena Radonicich), una ballerina bella e sfuggente che vive una profonda crisi. Tra le due donne si sviluppa un rapporto di silenziosa complicità che porterà Pauline a fare i conti con il proprio tragico passato e permetterà a Emma di ritrovarsi come madre e come individuo.

Di Tutto parla di te, nelle sale dall’11 aprile, Milano Weekend ha parlato proprio con la regista Alina Marazzi.

D: La depressione post-partum è secondo Lei un tabù in Italia?

R: “Penso in realtà sia un tabù ovunque, ma in particolar modo nei Paesi di matrice cattolica. Su noi italiani pesa il mito della maternità e forse noi donne italiane facciamo più fatica quando non ci riconosciamo in un’immagine di madri perfette”.

D: Lei ha integrato nel suo film documenti e testimonianze d’archivio molto forti. Perché questa scelta?

R: “L’idea era quella di restituire una coralità di voci e di esperienze sulla maternità, motivo per cui ad esempio i sentimenti del personaggio di Emma in qualche modo sono espressi dalle madri che parlano nelle interviste. Quindi il “Tutto parla di te” del titolo in realtà vuole allargarsi a un “voi”, è un “te” partecipato”.

D: Gli uomini nel film rimangono marginali: invece cosa possono fare per aiutare le proprie compagne che vivono un’esperienza così lacerante come una depressione post-partum?

R: “Dovrebbero rimanere maggiormente accanto alle loro compagne in un momento tanto delicato come le prime settimane e i primi mesi dopo la nascita di un figlio. In realtà questo non avviene anche perché spesso il congedo parentale per i padri implica una diminuzione dello stipendio, oltre che per una questione strutturale su cui dovremmo interrogarci: cresciamo con l’idea che dei bambini si debbano occupare le donne, invece spesso i papà sono davvero più affettuosi”.

D: Charlotte Rampling recita per la prima volta in italiano e la sua interpretazione è davvero intensa. Com’è stato lavorare con lei?

R: Ѐ stato molto bello ed emozionante e, da un certo punto di vista, più semplice di quello che pensavo rispetto ai miei timori di avere a che fare con una star internazionale: si è rivelata essere una persona molto generosa e umanamente molto diretta e alla mano. Nel momento in cui ha sposato il progetto del film, c’è stata al cento per cento”.

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