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Marco Stabile: l’intervista all’attore e cantante. Dal teatro alla tv, sognando il cinema

Marco Stabile intervista

Marco Stabile ha lo sguardo fiero ed entusiasta di chi porta avanti il lavoro che ama, con le unghie e con i denti, rispettando i ruoli e, allo stesso tempo, decidendo di lanciarsi in nuove sfide. Da poco si è conclusa con successo l’esperienza a ‘Colorado (in onda tutti i martedì su Italia1), che potrebbe essere la chiave per avviare nuove strade, lontane dai preconcetti che vogliono separare tv, cinema e spettacolo dal vivo.

Lo abbiamo incontrato mentre è in scena (fino a domenica 19 maggio) al Teatro Nuovo di Milano con ‘A Bronx Tale‘ per la regia di Claudio Insegno, la trasposizione teatrale del film del 1993 diretto da Robert De Niro.

La nostra intervista a Marco Stabile

Marco, cosa ti ha colpito di questo spettacolo?
È un progetto arrivato in sordina. Claudio mi aveva parlato dell’idea, ma non sapeva ancora bene quale ruolo assegnarmi. Confrontandoci è arrivato Calogero, il protagonista. La portata emotiva di questo personaggio mi ha spiazzato anche perché pone in campo il rapporto che si ha coi genitori e le proprie origini. Sono molto felice della messa in scena, degli attori che mi circondano e sono innamorato delle musiche di Alan Menken (autore de ‘La Sirenetta’ e tanti altri capolavori Disney), il quale riesce a esaltare la melodia. ‘A Bronx Tale‘ affronta anche un punto nodale: la vita che passa e le scelte che compi. Si vuole comunicare come la cosa più triste che puoi fare è sprecare il talento.

Marco Stabile intervista
‘A Bronx Tale’

 

Nel musical si fa riferimento ai mentori intesi sia di sangue (il padre), che quelli che ti scegli. Quali sono stati i tuoi?
Nella prima parte della mia carriera è stato Pino Insegno. Mi ha trattato come un figlio, facendomi debuttare al Sistina (con ‘Insegnami a sognare’, nda) e portandomi in TV. Lo ringrazierò per sempre, ho studiato nell’accademia di cui lui e Claudio erano presidenti. Ovviamente non posso che esser grato anche a Claudio, con cui si è creato un rapporto continuativo di collaborazione. Ha capito il mio talento e mi ha sempre affibiato i ruoli che sapeva avrei potuto sostenere. Mi sono fidato del suo giudizio, incluse le volte in cui mi ha detto di no. Successivamente ho sentito che avevo bisogno di sviluppare un’interiorità maggiore sul piano recitativo e in questo è stato fondamentale l’incontro con l’attore, regista e acting coach Alessandro Prete. Ho scoperto il metodo e la tecnica per portare l’emotività all’interno dei personaggi.
Attualmente sono in una fase in cui sento di dover diventare il padrone della mia vita. Inizialmente può spaventare, ma credo fermamente che tutto ciò che vogliamo sia al di là della paura. Mi propongo di mettermi sempre alla prova. Certo questa professione non dipende soltanto dalla propria volontà ma anche dagli incontri che fai, quindi spero che prima o poi avvenga quello con Ferzan.

Ti riferisci a Özpetek?
Sì, amo molto lui e Sorrentino. Il primo perché è stato coraggioso nelle opere realizzate ed è un amante dei particolari – e lo sono anch’io; il secondo perché
racconta la caducità dell’uomo. Tanto tempo fa lessi una frase che mi colpì: «la malinconia è la felicità di essere tristi». Ecco, secondo me, lui esprime questo sentimento, racconta quel momento di verità, quel dolce amaro che caratterizza l’esistenza.

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‘A Bronx Tale’

 

In questi giorni ti abbiamo visto in ‘Colorado’ insieme a Paolo Ruffini e Belen Rodriguez. Com’è nato Fulvio?
Esiste, in realtà, da più di dieci anni. Coi miei amici più cari, scherzando, davo vita a un nerd fissato con la geografia. Tutti mi suggerivano di farlo vedere a qualcuno e io rispondevo puntualmente: non funzionerà mai (frase che torna proprio negli sketch).
Già all’epoca della tournèe con Renato Zero, Paolo mi invitò a candidarmi per il programma, ma io dissi che non avrei saputo cosa mostrare. Una delle mie più grandi amiche, la cantante Manuela Zero (ha partecipato quest’anno a Sanremo) ha continuato a incoraggiarmi rispetto a Fulvio e quando Paolo quest’anno mi ha riprospettato il provino a Colorado ho deciso di lanciarmi, conscio che sarei dovuto piacere alla produzione. Ho scoperto di essere stato preso guardando le stories di Belen con Paolo. Lui è una persona molto generosa, che non ha timore di affiancarsi ad altri artisti. Gli devo molto per quest’opportunità. E poi ‘Colorado‘ mi ha dato la possibilità di scoprire da vicino Belen. A parte la bellezza fuori dal comune, già avevo avuto modo di apprezzare quanto fosse passionale e il suo prendere le decisioni di pancia. Lavorando a stretto contatto ho toccato con mano come fosse un’artista completa, con quell’ironia e la battuta pronta che la contraddistinguono.

Con Fulvio emergono diverse tue qualità, dalla recitazione (con vari registri) al canto…
A volte è un gran piacere avere più di un talento, altre è un problema anche perché da noi si settorializza. La mia carriera somiglia molto a un iter internazionale che si plasma attraverso vari canali. C’è stato un periodo in cui non ero completamente in pace con questo aspetto, mi interrogavo su chi fossi. Oggi rispondo semplicemente: sono Marco Stabile e la vita mi porta a trovarmi in delle situazioni, compresa quella inaspettata di Colorado, in cui i miei talenti diversi vanno a definire la molteplicità di un personaggio.

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‘Colorado’

 

Come si fa a combattere questa tendenza a incanalare in un determinato linguaggio?
Lotto da sempre con questa forma mentis. Sono un curioso cronico e appena c’è una nuova sfida mi lancio. Adesso voglio fare tutto quello per cui mi viene data la possibilità, compresa la conduzione di Sanremo [lo dice con umiltà, ma con l’aspirazione di chi sogna, sapendo di avere tutte le carte]. Lasciamo che sia il pubblico a decidere. Nutro un rispetto incredibile verso gli spettatori, sono il senso del mio lavoro e in virtù di questo mi sembra importante curare anche direttamente i social.

Una delle battute del tuo personaggio, l’Odio, nello spettacolo ‘Zerovskij’ di Renato Zero era: «assorbi dalle persone». Rilanciandola in un’ottica positiva…
Da sempre penso che ci sia una grande difficoltà a dare la versione integrale di se stessi. Sono in una fase in cui riesco a essere me stesso senza dover dare spiegazioni a nessuno e la gente ha bisogno di questo. Non sono una persona che si è fatta inglobare negli schemi e per questo devo veramente ringraziare papà e mamma, i quali non mi hanno lanciato in questo mondo in maniera spensierata. Avevamo preso degli accordi: dovevo laurearmi e loro mi avrebbero sostenuto sulla strada artistica. Durante la gavetta ci sono momenti in cui ci credi solo tu. Da quando ho abbandonato molto del mio ego, la vita è migliorata. Sono tornato a considerare la vulnerabilità umana una qualità meravigliosa.

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‘Zerovskij’ Ph Barbara Rea

 

Ti sei rapportato con personaggi della caratura di Baudo e Zero…
L’incontro con Baudo mi ha fatto arrivare a una conclusione: di questo mestiere si muore, non si va in pensione. Era alla sua penultima ‘Domenica In’ (2010) e aveva l’energia affermativa di colui che lo faceva per la prima volta. Per quanto riguarda Renato è stato un incontro energetico. Io respiravo la sua aria, sentivo l’aurea di chi crede fermamente in quello che fa. È una persona che ha la passione del diciottenne al suo debutto.

Sul piano musicale qual è la scoperta più importante che hai fatto?
Scrivo musica da sempre e sto componendo anche per altri artisti. Anche in questo ambito ho compreso come la sincerità paghi. L’empatia con il pubblico si basa su quello, appena ci si falsa un attimo non si arriva. Le maschere non interessano più a nessuno e purtroppo passiamo la adolescenza a volerne indossare a milioni e ciò scaturisce dalla tendenza a voler incastonare. Invece io sono a favore dell’individualità, ognuno con la sua luce e il suo colore. Il mio sogno è un film musicale.

Con quale brano descriveresti il tuo percorso fino ad ora?
True colors‘ di Cyndi Lauper. Mi piace pensare che la mia è stata tutta una corsa verso la vera essenza.

Marco, sei di Cassino (provincia di Roma), ma Milano è diventata un po’ la tua casa professionale…
Amo Roma e tante volte di Milano non sopporto il clima, però quando dicono che la città meneghina è diventata una metropoli europea è vero. Ho avuto modo di riscontrare un grandissimo fermento sul piano teatrale.

Hai portato ‘Jersey Boys‘ (il musical che ripercorre la storia dei Four Seasons dove incarnava Tommy De Vito) a Parigi, che ricordo hai?
Mi è sembrato di vivere un momento bohémien. Mi piace fare esperienze all’estero, ma che siano temporanee. Voglio vivere in Italia e crescere professionalmente qui.

Dove ti vedremo prossimamente?
Riprendiamo nella stagione 2019-2020 ‘Kinky Boots‘ diretto da C. Insegno (produzione del Teatro Nuovo di Milano) portandolo anche al Brancaccio di Roma dal 23 al 26 gennaio 2020. Mi auguro di ripartecipare a ‘Colorado’ e che arrivino nuovi progetti.

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