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Principessa Mononoke, la recensione: torna in sala il grande film di Miyazaki

principessa mononoke

principessa mononokeAd Akira Kurosawa è andato il merito di aver suggestionato lo spettatore occidentale con la millenaria cultura giapponese e i sui samurai. Ora Hayao Miyazaki, dopo la versione del 1997, ritorna al cinema con La principessa Mononoke in uscita nelle sale fino al 15 maggio.

Le vicende si svolgono nel periodo Muromachi. Ashitaka è il principe capo del clan degli Emishi, giovane e valoroso guerriero, che rimane ferito in un combattimento per salvare il suo villaggio da un cinghiale fuori controllo, il tatari-gami, ovvero uno spirito maligno. Il giovane è costretto a recarsi ad Ovest dove c’è il Dio Bestia , l’unico in grado di guarirlo dalla ferita mortale e di sollevarlo dalla maledizione dello spirito. Jico un tarchiato e avido bonzo rivela al giovane guerriero l’identità del Dio Bestia il quale regna sul mondo animale e vegetale e ha il potere di vita e di morte sulle creature del territorio.

Ashitaka uno volta giunto a destinazione è ospite della comunità dei Tatara su cui governa con grande autorità Madame Eboshi. Il villaggio è specializzato nella produzione di archibugi leggeri e maneggevoli, al fine di difendere la popolazione dai clan vicini. Ma i Tatara non si fermano a questo, intendono disboscare la montagna e ricavare del ferro, per incrementare la produzione delle armi. Madame Eboshi a capo del progetto trova la strenua opposizione di San soprannominata Principessa Mononoke (principessa degli spettri) una giovane fanciulla, munita di maschera tribale, abbandonata in tenera età e adottata dalla Dea lupa Moro. L’incontro con la selvaggia San porta il giovane Ashitaka a misurarsi con una realtà a lui sconosciuta. San è un essere umano ignorato dai suoi simili e accolto dalla natura, per questo la ragazza disprezza il suo genere ed è disposta a tutto pur di difendere gli animali e la vegetazione della montagna.

La principessa Mononoke è un film d’animazione epico che affonda le sue radici sui miti giapponesi. La pellicola, popolata da immaginari personaggi: i Kodama “gli spiriti degli alberi” che, secondo una leggenda medievale, aiutano gli esseri umani a trovare la strada nel sottobosco, è ricca di quelle storie meravigliose tramandate di generazione in generazione, ed intende approdare ad argomentazioni di portata universale, ossia la convivenza fra natura e esseri umani e quella fra i popoli. Una lotta alla sopravvivenza fra uomo e natura, una natura tutt’altro che passiva e che non subisce ma si ribella e contrattacca.

Attraverso suggestioni mistiche e fiabesche, Miyazaki pone di fronte a creature fantastiche, animali senzienti atmosfere leggendarie, combattimenti live-action di tradizione samurai. Un’animazione realistica, sia per i paesaggi che per i personaggi, i visi non sono carichi della rotondità tipica anime, così come i movimenti risultano fluidi grazie alla commistione fra i tradizionali frame disegnati e l’uso della tecnologia digitale. Il risultato è un film evocativo e incantevole, capace di suscitare la giusta riflessione, nonostante la lunghezza del racconto, che poco si presta ad un pubblico infantile vista la complessità, ma che ha comunque in sé la capacità di affascinarlo.

Voto per noi: 9-

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