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IT: la nostra recensione dell’horror tratto dal romanzo di Stephen King

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Il nuovo adattamento di IT, con ogni probabilità il romanzo più famoso all’interno della vasta produzione di Stephen King, era atteso da tempo, accompagnato da grandi timori e immense aspettative, dopo la prima storica miniserie televisiva risalente al 1990, che tanti bambini e adolescenti aveva spaventato ma che oggi risente pesantemente del tempo trascorso.

In uscita il 19 ottobre nelle sale cinematografiche italiane, il film di Andrés Muschietti ci riporta ancora una volta nell’universo narrativo kinghiano, un immaginario che ha marchiato a fuoco l’iconografia associata agli anni ’80, decade che in questo periodo maggiormente suscita sentimenti nostalgici: basti pensare all’operazione di perfetto antiquariato garantito rappresentata da Stranger Things, con la sua storia di amicizia tra giovani perdenti in sella a biciclette tra le stradine della periferia americana più profonda.

E la Derry al centro di IT è la più classica delle cittadine kinghiane. Un luogo in cui crescere può essere una vera impresa, tra bulli pronti a prendere di mira i ragazzi più deboli (una sorta di campionario delle fragilità e delle insicurezze dei pre-adolescenti) e adulti che quando non opprimono o si macchiano di abusi sui propri figli li caricano di aspettative eccessive.

Ma sopravvivere a Derry è ancora più difficile, quando questa è il covo di un’entità – l’IT, ovvero “la cosa” del titolo – che sembra essere inestricabilmente legata alla storia della cittadina, e che ogni 27 anni esige il proprio tributo di sangue, cibandosi di bambini preferibilmente terrorizzati a morte. A rendersene conto per primo è Bill, il leader del gruppo dei Perdenti, che lega la scomparsa dell’amato fratellino Georgie agli omicidi compiuti da una creatura dall’aspetto di un inquietante clown in grado di manifestarsi in orrende e differenti forme, come scoprono loro malgrado anche gli altri membri della banda.

IT 2017: un film horror

Nonostante il divieto ai minori di 14 anni, che indica un certo grado di violenza (e in particolar modo su bambini), questa nuova iterazione di IT sembra avere come punto di riferimento proprio i più piccoli. Non perché si tratti di un film dalle scarse pretese, ma perché la versione dell’horror che propugna è un po’ quella da casa stregata al luna park: una continua sarabanda di scene autoconclusive ed episodiche, con mostri che spuntano all’improvviso all’impennarsi delle note della colonna sonora (pessima, usata esclusivamente per far saltare dalla sedia gli spettatori).

Lo stesso clown Pennywise per come è concepito appare una creatura come le altre, e sul finale, quando i bambini decidono di affrontarlo nelle fogne in cui risiede, l’insistenza con cui la macchina da presa lo mette in scena come un personaggio qualsiasi lo depotenzia di tutta la sua carica perturbante. Riprendendo questo termine, si può dire che il film di Muschietti aspiri più a provocare un brivido temporaneo che a lasciare un’impressione duratura di angoscia e di terrore, un po’ come accade nella maggior parte degli horror contemporanei (il modello pare essere tutto il filone à la Insidious lanciato da James Wan).

Difficilmente il film si può dire del tutto deludente sotto questo aspetto, ma quel che è certo è che Muschietti non si stacca mai dai binari già tracciati da altri, proprio come il suddetto carrello da luna park: andando sul sicuro non rischia mai e si appoggia su soluzioni abusate, ripetitive e alla lunga irritanti, adatte più a un pubblico poco avvezzo agli horror (come per l’appunto i bambini) che agli appassionati.

 

IT 2017: un romanzo di formazione

È invece nel racconto di formazione che la messa in scena adottata dal regista brilla maggiormente. Se si escludono alcune fastidiose strizzate d’occhio alla nostalgia anni ’80 (la sassaiola ai danni del gruppo di bulli sulle note degli Anthrax, per esempio), il film rende bene il senso di desolazione di un’età a cavallo tra l’adolescenza con i suoi primi pruriti e l’infanzia, durante la quale l’autorità degli adulti è ancora impossibile da mettere in discussione.

La minaccia rappresentata da IT diventa un non troppo velato riferimento a quello strappo che si verifica in un dato periodo della crescita, e diventa particolarmente evidente nella scena della fontana di sangue che vede protagonista Beverly, l’unica ragazza del gruppo. In un certo senso il clown non è soltanto il male metafisico che si annida nel cuore degli uomini, ma è anche quel momento di negazione che contribuisce a far crescere i personaggi, per i quali l’amicizia – valore essenziale ben reso in diverse scene di una certa forza – diventa l’unica ancora di salvezza.

Non tutti i ragazzi ricevono la stessa attenzione – e d’altro canto sarebbe stato molto difficile – e a rilucere è il triangolo amoroso tra Bill, Beverly e il romantico Ben, con l’attrice Sophia Lillis che fornisce una prova di grande carisma che fa pensare a una futura carriera dalle grandi possibilità. Menzione particolare anche per il Richie di Finn Wolfhard (non a caso protagonista di Stranger Things), vera mitraglietta senza sicura di chiacchiere (invero un po’ rovinato dal pessimo doppiaggio, che in generale affossa tutte le prove degli attori). Meno interessante il clown Pennywise interpretato da Bill Skarsgård, troppo preso dalle smorfie a effetto, e non aiutato da effetti speciali poco convincenti, per lasciare davvero una traccia indelebile nell’immaginario collettivo.

Per concludere: forse come horror questo IT non verrà ricordato a lungo, ma in previsione di un secondo capitolo con i protagonisti in età adulta, ormai sicuro, ammettiamo di essere curiosi di vedere se Muschietti riuscirà a rendere ancora più interessanti i rapporti tra i personaggi e a conservarne lo spirito e le caratteristiche che in questo primo episodio li rendono alquanto vividi e vicini all’esperienza di chi osserva la loro storia.

Voto: 6+