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‘Il ragazzo dell’ultimo banco’ va a fondo del rapporto maestro-allievo. Allo Studio Melato

Il ragazzo dell'ultimo banco
Ph Masiar Pasquali

Il ragazzo dell’ultimo banco: scheda

Protagonisti sono un professore di letteratura di liceo e un suo allievo. Claudio siede sempre all’ultimo banco, viene da una famiglia disagiata: la madre lo ha abbandonato da piccolo e il padre vive nell’ombra. Apparentemente in disparte, Claudio rivela un particolare talento per la scrittura nel momento in cui svolge il tema proposto dall’insegnante. Racconta “a puntate” il rapporto con un compagno di classe che aiuta nei compiti di matematica e del quale ha preso a frequentare la casa, molto borghese, e la famiglia, profondamente diversa dalla sua. Sarà vero quel che descrive, o si prende gioco del professore?

il ragazzo dell'ultimo banco
Ph Masiar Pasquali

Il ragazzo dell’ultimo banco: recensione

La scena (curata da Guido Buganza) rompe gli schemi e i “confini” immaginabili ancor prima che la pièce abbia inizio, coinvolgendoci sin dal primo istante e inglobandoci man mano che si dipana la storia. Fabrizio Falco (Claudio, il ragazzo dell’ultimo banco), Danilo Nigrelli (il docente, Gérman) e Mariángeles Torres (Juana, sua moglie) entrano, in fondo, dalla fatidica soglia varcata dagli spettatori che siedono in platea e subito cominciano ad abitare quel luogo incarnando i loro personaggi, che si svelano pian piano (non è un caso che il docente sia di spalle o di profilo, a seconda della posizione da cui noi guardiamo). A conti fatti – e non entriamo appositamente nei dettagli per non togliervi il gusto della visione – è come se si scoprissero seguendo il ritmo – e le pause – della scrittura di Claudio.

Jacopo Gassmann mette acutamente in scena la logica insita nel testo di Juan Mayorga (traduzione a cura di Antonella Caron), giocandoci sia a livello spaziale che nella direzione degli attori, perfettamente calati nell’idea secondo cui “tutti siamo personaggi nei sogni degli altri”, come ha dichiarato lo scrittore stesso. Nelle intuizioni connesse alla rappresentazione si vuole, infatti, cavalcare la linea della matematica presente come filo rosso nella drammaturgia, ma in primis nella natura stessa dell’autore madrileno (l’ha insegnata per cinque anni nelle scuole secondarie, nda). Equazione dopo equazione tra i ragazzi e a ogni nuovo capitolo del romanzo il meccanismo sfida sempre più lo spettatore, il quale, ancor più di fronte a questo tipo di teatro di parola, non può rimanere passivo.

Qual è il limite (se c’è) tra realtà e finzione? In un primo momento la “famiglia immaginaria” (costituita da Rafa – Alfonso De Vreese, il padre – Pierluigi Corallo e la madre, Ester – Pia Lanciotti) è in secondo piano, “comparendo” all’occorrenza, quasi a raffigurare l’intuizione del giovane studente (o un flashback di qualcosa che ha vissuto?).
Nella seconda parte (chiariamo si tratta di un atto unico) i piani si confondono maggiormente, l’uno irrompe nell’altro e il pubblico è sempre più stimolato a sciogliere l’enigma. Le dissertazioni sull’arte contemporanea (Juana gestisce una galleria) tra moglie e marito ci chiamano in causa, merito anche di frasi che saranno balenate in ciascuno di noi e vogliono essere un altro “abito” con cui rilanciare la palla: realtà o finzione?

Degno di nota è il lavoro compiuto dagli attori sia sui movimenti che nelle intenzioni, dallo sguardo di sfida tra alunno e maestro (e tutte le sfumature annesse, con un Fabrizio Falco che matura di lavoro in lavoro) a un’altra scena significativa in cui la Lanciotti dimostra ancora una volta di saper adoperare sguardi e silenzi. Ogni interprete è ben calato in chi deve rappresentare, ma il bello – da osservatore – consiste nell’unire tutte le sottotracce. Un elemento li accomuna tutti, seppur declinato diversamente, ed è la fragilità, a partire da quella del rapporto educativo.

Ci sentiamo di dire che in questo processo di ellissi e anelli, la struttura semicircolare del Piccolo Teatro Studio Melato permette un ulteriore sfruttamento della dinamica dei punti di vista e nel cerchio più ampio, non c’è scampo, ci siamo volutamente anche noi.
Il ragazzo dell’ultimo banco ti porta a ricordare il professore (o in senso più ampio il padre) che ha creduto in te – o a rimpiangerlo se ciò non è avvenuto – e al contempo permette di cogliere anche le proiezioni e le debolezze di colui che dovrebbe essere la “guida”. In un passaggio successivo ti conduce a riflettere sull’arte della scrittura e della rappresentazione forte della logica secondo cui “il teatro accade nello spettatore”. Il tutto restituendo delle suggestioni, ma mai delle soluzioni uniche come, invece, accade in un’equazione matematica. Del resto Gérman dice al proprio allievo: “fidati del lettore, sarà lui a completare” perciò la palla non può che essere rilanciata a noi.

Riassumendo

Il ragazzo dell’ultimo banco, dal 22 marzo al 18 aprile 2019

Piccolo Teatro Studio Melato

DURATA: 120′

ORARI: lunedì riposo; martedì, giovedì e sabato h 19,30; mercoledì e venerdì h 20,30; domenica h 16

PREZZI: intero platea 40€; intero balconata 32€

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