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Il pretore, recensione del film con Francesco Pannofino

il pretore locandina

il pretore locandina

Giulio Base torna al cinema con il suo adattamento cinematografico del romanzo di Piero Chiara Il pretore di Cuvio. Ascesa e caduta del “pretorucolo” Augusto Vanghetta (Francesco Pannofino) che esercita in una piccola cittadina del Lago Maggiore, in un ambiente di provincia durante il periodo fascista. Vanghetta ha due passioni: il teatro (l’ambizione del drammaturgo) e le donne (sfrutta la sua posizione per favorirne le pendenze, in cambio di prestazioni sessuali).

Il pretore fedigrafo e meschino ha una moglie: Evelina (Sarah Maestri) la quale, ormai sterile, peregrina da uno specialista all’altro per curare la sua anoressia nervosa. È ben più giovane di Vanghetta, ma remissiva e taciturna, in un paese di malelingue e pettegolezzi. A rompere l’equilibrio sarà il giovane Mario Landriani (Mattia Zàccaro Garau), ambizioso e stacanovista aiutante dell’intrallazzatore in questione, nominato a “sostenere” l’emaciata Evelina. Mostratosi ben diverso da come Vanghetta si aspettava fosse, timido ed omossessuale, Landriani si prenderà ampiamente cura di sua moglie.

 Il pretore è uno spaccato di vita provinciale,  la figura di uno speculatore istituzionale tutto italiano e il malcostume di un Paese guidato da donnaioli e affaristi che superano qualsiasi epoca storica. Uno spunto interessante come Chiara ha colto e sviluppato, contrariamente al film. Base riesce da un lato a garantire una buona contestualizzazione alla vicenda, con macchine, costumi d’epoca efficaci a far rivivere  l’Italia degli anni Trenta, dall’altro penalizza fortemente la storia. A cominciare dallo stile recitativo del protagonista Pannofino che interpreta un Vanghetta eccessivo, troppo caratterizzato, una macchietta fine a se stessa, ma non funzionale alla storia.

Tutta la narrazione risente di questa sproporzione, una comicità esagitata che riduce notevolmente l’approccio ironico e sarcastico presente nel romanzo. Dialoghi concitati e poco perspicaci, personaggi sbiaditi, nonostante l’unico che abbia dato una sfaccettatura al suo Landriani sia Zàccaro Garau con un guizzo fra il comico e drammatico. Tutta la vicenda insomma sembra si assesti su episodi reiterati che sebbene convergano  sul declino netto del miserabile, svuotano un film alla riflessione, per esaltarne quasi la repulsione, probabilmente anche voluta, ma un po’ infruttuosa.

Voto per noi: 5.5

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