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Fabrizio De André. Principe Libero: un omaggio poetico al cantautore con un Luca Marinelli impeccabile

Fabrizio De André. Principe Libero

Ancor più post visione, riteniamo interessante e giusta l’idea di proporre Fabrizio De André. Principe Libero prima al cinema (distribuito da Nexo Digital come evento speciale 23 e 24 gennaio e visto il grande successo, si è scelto di farlo tornare in sala con altri eventi ad hoc – a Milano il 29 gennaio) – intercettando un’utenza magari differente rispetto a quella del piccolo schermo – per poi trasmetterlo in prima visione 13 e 14 febbraio su RaiUno.

Se Dori Ghezzi (seconda moglie di De André) ha affermato in conferenza stampa che questo film potrà piacere soprattutto a chi ha conosciuto il cantautore, noi, di un’altra generazione e magari conoscitori solo dei brani cult, non vi nascondiamo che siamo rimasti piacevolmente colpiti dalla full immersione nell’anima artistica e umana.

Fabrizio De André. Principe Libero: la sinossi ufficiale

Racconta la vita di uno dei più grandi poeti della musica italiana. Fin dall’adolescenza Fabrizio dimostra la sua curiosità speciale, il suo ardore di vita. Sempre in opposizione all’autorità, in famiglia e a scuola, Fabrizio sviluppa presto una grande sensibilità per le vite degli ultimi. Sentendosi a suo agio più con gli emarginati dei carruggi che nelle feste borghesi degli amici di famiglia.

La sua costante irrequietezza trova finalmente un senso quando riceve in regalo dal padre la sua prima chitarra. È amore a prima vista. Nonostante questo Fabrizio dovrà superare un grande conflitto con sé stesso per accettare la sua vocazione e trasformarla nella sua professione, trovando per questo spesso rifugio nell’alcol.

La continua ricerca di spazio e di tempo per coltivare la sua arte entrano presto in conflitto con i suoi doveri famigliari di marito di Puny e di padre di Cristiano. L’incontro umano ed artistico con Luigi Tenco sarà però fondamentale per lui: uno spazio di complicità nei rovelli dell’arte. Così come la collaborazione con il poeta Riccardo Mannerini.

E non saranno gli unici: lungo la sua carriera Fabrizio collaborerà con alcuni fondamentali autori, poeti ed artisti del dopoguerra italiano. Tra gli altri, Paolo Villaggio, Fernanda Pivano e la PFM solo per citarne alcuni.

L’incontro con Dori Ghezzi lo porterà a confrontarsi con le proprie paure e ad abbracciare l’amore, in un senso nuovo di libertà, nella campagna in Gallura, dove nascerà la seconda figlia, Luvi. E dove però si consuma anche la negazione di tutte le libertà, nella vicenda dei quattro mesi del sequestro. Anche in questo caso, De André, riuscirà a trasformare un evento drammatico in grande arte, regalandoci un capolavoro come Hotel Supramonte.

Fabrizio De André. Principe libero: la recensione

Il film parte da quella che può esser considerata una ferita, non semplice da rimarginare, ma su cui il protagonista (un Luca Marinelli difficilmente raccontabile a parole per come ha saputo calarsi in un ruolo così impervio) dimostra una lucidità non scontata (basti pensare a ciò che racconta al capitano dei carabinieri), oltre all’abilità creativa – “passerà anche questa stazione senza far male/ passerà questa pioggia sottile come passa il dolore, scriverà in ‘Hotel Supramonte‘”.

Dopo una giornata di “riunione famigliare”, lui e Dori Ghezzi (una credibile Valentina Bellè) restano da soli nel casale vicino a Portobello di Gallura, si sente che lo definiscono “il paradiso”, eppure, in quella terra sarda tanto amata proveranno anche la sofferenza del sequestro per ben quattro mesi. Da qui si comincia per ritornare al De André bambino, curioso del mondo e al contempo “libertino” – si manifesta tale già quando esprime un’insofferenza verso il violino.

Elena Radonicich nei panni di Puny

Mi interessa più l’uomo”, ascoltiamo a un tratto, ed è una frase che rispecchia molto lo spirito del cantautore e quello di questo lavoro diretto molto rispettosamente da Luca Facchini. Prendendo per mano lo spettatore – anche il non fan per l’appunto – ci si ritrova, passo passo, a ripercorrere le tappe fondamentali di una gestazione artistica strettamente connessa alla sensibilità insita nell’uomo. Sorprende come Gianluca Gobbi dia corpo a Paolo Villaggio, suonandone perfettamente le corde – all’occorrenza ironiche – senza mai strafare né andare sopra le righe.

De André aveva intessuto dei forti sodalizi artistici, che corrispondevano ad altrettante relazioni umane, in cui spesso non c’eran bisogno di parole dette, ma che si traducevano in parole cantate e gesti (basti pensare a Luigi Tenco e Riccardo Mannerini, rispettivamente interpretati dai bravi Matteo Martari e Tommaso Ragno). Un capitolo differente sono gli incontri con le due donne che diventeranno le mogli. La prima, Puny (un’Elena Radonicich che gioca in sottrazione per poi far esplodere il suo personaggio in un momento clou) proviene dal mondo che in adolescenza e gioventù aveva rifiutato (quello borghese); la seconda, Dori, gli restituisce un nuovo afflato di libertà. Da entrambe avrà dei figli, in fasi differenti della vita e l’essere padre è un tasto con cui dovrà fare i conti.

Valentina Bellè nei panni di Dori Ghezzi

Nella sceneggiatura (curata dal regista, Giordano Meacci e Francesca Serafini) ogni personaggio-persona che si è scelto di far rientrare (era impossibile condensare tutti in 190′) hanno ragione di esistere e, in particolare, tra quelli non ancora citati, resta l’espressività del volto di Vittoria Ghezzi (la mamma, con la sempre impeccabile Anna Ferruzzo) e le parole di Mauro De André (il fratello, intensamente interpretato da Davide Iacopini) al nipote Cristiano durante i giorni del sequestro e il padre Giuseppe, forte, apparentemente duro, eppure fortemente legato (reso con sobrietà da Ennio Fantastichini).

Dal ruolo più “piccolo” ai protagonisti, il puzzle si compone su una Genova coprotagonista, declinata sia come location immaginata che fisica, per poi passare alla terra sarda, completamente diversa nella sua conformazione, ma altrettanto adorata.

Fabrizio De André. Principe Libero riesce a far amare – o quantomeno accettare – le fragilità e le contraddizioni di colui che era un uomo prima ancora che un artista (nell’accezione mitizzante che può acquisire il termine), facendo scoprire l’essenza e la potenza evocativa della sua musica anche a chi (per assurdo) non l’avesse mai ascoltata. Marinelli è Fabrizio De André, anche quando vengono riproposte canzoni appartenenti all’immaginario comune come ‘Il Pescatore’. È De André nei termini in cui lo può essere chi non vuole sostituirsi a lui, ma omaggiarlo, senza scadere nell’agiografia. “Nell’attore la sua arte è l’essere uomo”, diceva Orazio Costa Giovangigli, maestro che tanto aveva trasmesso il metodo mimico ad allievi di varie generazioni. L’attore de Lo chiamavano Jeeg Robot non è tra questi, ma sembra incarnare proprio questo insegnamento. Da non perdere anche per la sincerità e la professionalità che traspaiono.

Voto: 8

Una frase

“Non mi va di scrivere qualcosa che qualcun altro ha detto meglio di me – Fabrizio De André”

Fabrizio De André. Principe Libero: il trailer ufficiale

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