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Assassin’s Creed: dal videogioco al grande schermo. La recensione

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Smessi i panni shakespeariani di Macbeth e signora, Michael Fassbender e Marion Cotillard tornano sul grande schermo con Assassin’s Creed, sperando di replicare la coppia vincente diretta ancora una volta dal regista Jed Kurzel.

Assassin’s Creed è l’attesissima, per gli amanti del gioco, trasposizione cinematografica dell’omonimo videogame nelle sale dal 4 gennaio. Un film zeppo di computer grafica e combattimenti, sferragliamenti di lame, inseguimenti al limite delle leggi fisiche e cenni abbastanza evidenti al filone Matrix, almeno per ciò che concerne l’aspetto action.

La vicenda è quella di Callum Lynch (Michael Fassbender), fantomatico assassino, che attraverso una tecnologia rivoluzionaria, l’Animus (progettata dalla Dott.ssa Rikkin/Cotillard), rivive le avventure di Aguillar, suo antenato e membro della Confraternita degli Assassini nel XV secolo. Tale organizzazione aveva una missione: appropriarsi della Mela dell’Eden, simbolo del peccato originale o per meglio dire del libero arbitrio, al fine di sottrarla al controllo dei Templari.

Kurzel propone un cine-game giocato su due ambientazioni: quella cyber e le sanguigne atmosfere da Sacra Inquisizione nella Spagna di Toquemada. Un’idea di per sé interessante, se ben trattata, ma ciò che manca a questo film è forse l’essenza stessa del cinema: una storia.

Partendo da uno spunto manca lo sviluppo, il dipanarsi e l’intricarsi di una narrazione, o in alternativa, una suggestione di carattere simbolico, che approda ad un messaggio. Detto questo, seppur anche se supportato da un buon montaggio, Assassin’s Creed non è niente altro che la messa in scena di un videogioco. I fatti si susseguono meccanicamente, ancor peggio, non esistono dei personaggi. In questo rimbalzo temporale compare un Fassbender accigliato e incappucciato, o in t-shirt, in preda a convulsioni irripetibili, che va e viene da una dimensione all’altra, una Cotillard algida e imperturbabile dagli occhi vitrei, che si aggira fra mura grigie spiegando allo spettatore, più che a Callum, cos’è la tecnologia Animus. A nulla serve la presenza di due attori del calibro di Charlotte Rampling e Jeremy Irons che passano del tutto inosservati.  Kurzel consegna un film con delle carenze purtroppo palesi, sbagliando l’approccio e proponendo un mix di ambientazioni a effetto, tecniche digitali, con accurati colori e dettagli, ma senza trama e contestualizzazione, privando, ingiustamente, lo spettatore della vera magia del cinema.

A chi piacerà Assassin’s Creed? Dovrebbe (qui il condizionale è d’obbligo) piacere ai cultori del gioco, ma altro è parlare di linguaggio cinematografico.

Voto per noi: 5.5

 

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