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Dopo l’esordio sul palco con Strehler, è tornata al Piccolo con ‘Le serve’ di Genet: Vanessa Gravina si racconta a Milano Weekend

Vanessa Gravina

Il grande pubblico ha imparato a conoscerla soprattutto grazie al piccolo schermo (citiamo ‘La Piovra 4 e 5‘, ‘Incantesimo 4‘ o ancora ‘Madre, aiutami‘ con Virna Lisi), ma Vanessa Gravina ha davvero esordito da piccolissima. Era, infatti, a sei mesi in un Carosello per uno spot di passeggini e a soli sette anni debuttava nella trasmissione radiofonica ‘Torno subito‘ di Diego Cugia. Se Marco Risi la fa muovere i primi passi sul grande schermo nel 1985 (‘Colpo di fulmine‘), sulle tavole del palcoscenico viene scelta nel ’91 da un maestro, Giorgio Strehler, per interpretare il ruolo di Hilde ne ‘La donna del mare‘ di Henrik Ibsen. Attualmente dà corpo alla “Signora” de ‘Le serve‘ di Genet, dividendo la scena con Anna Bonaiuto e Manuela Mandracchia.

Con una voce calda, ma allo stesso tempo pronta a far battute ci ha accolti per approfondire lo spettacolo che sta affrontando in questo periodo, raccontandoci anche di Milano e dei suoi progetti futuri.

Vanessa Gravina e ‘Le serve’ di Genet

Che tipo di lavoro avete realizzato insieme al regista Giovanni Anfuso?

Abbiamo iniziato l’anno scorso e questa ripresa ha ulteriormente giovato. C’è stato il tempo di far sedimentare, capendo degli aspetti che magari nella voracità dell’allestimento erano sfuggite. Autori come Genet sono molto profondi e con la nuova tournée credo proprio che abbiamo trovato un’alchimia giusta tra gioco e ferocia. Il meccanismo è senza esclusioni di colpi, al contempo incanta molto perché è paradossale e spiazzante. La chiave vincente è quella di vivere lo spettacolo ogni volta. È un approccio che vale per tutte le pièces, ma con questa ancor più perché se diventa ripetitiva e tu la assimili diventerebbe noiosa sia per chi lo fa che per chi assiste. Creare la differenza tra le serve che giocano inizialmente nell’inscenare l’avvelenamento e poi il cambio di tono con la telefonata del signore, fa salire la temperatura perché sta per verificarsi qualcosa che non è mai accaduto in questa loro cerimonia.

Come definirebbe la sua “Madame”?

È una manipolatrice sopraffine, ti prende coccolandoti e poi ti distrugge. Del resto è giusto che sia così all’interno di un congegno in cui questa donna non possiede una propria identità, ma parte dal presupposto che deve rappresentare qualcosa e qualcuno e quindi anche rappresentarsi per cui il personaggio è giocato sull’ambiguità. Genet svela la menzogna di scena.

Non deve esser semplice mantenere quest’equilibrio…

Sì, è molto complesso perché bisogna restare su quel filo sottile tra la rappresentazione – e cioè attrici che stanno interpretando un ruolo – e la restituzione di una buona dose di verità. A ciò ti conduce il testo: il linguaggio è alto, teatralmente talvolta stucchevole e, quindi, per certi aspetti surreale e lirico per poi passare ad una realtà crudissima. Io aspetto quarantacinque minuti dietro le quinte assistendo a tutto il prologo e spesso, per fuorviare questa difficoltà di raffigurare Madame, è stata affidata anche a uomini en travesti. Secondo me la forza è che sia davvero una donna, che deve entrare in scena consapevole di sostenere l’impegno che il ruolo richiede in cui sono racchiusi gli ideali di fascino, autorità e successo. Anna (Bonaiuto, nda) è stata fondamentale per me, un grande maestro, mi ha dato la concretezza di questo personaggio e Anfuso ha fatto una grande ambientazione su come collocare queste donne, poi ognuno ha messo il proprio.

Nella vostra lettura emerge molto l’elemento della seduzione…

Sì. Questo testo fu scritto da un omosessuale, che all’epoca aveva vissuto molto male la sua condizione anche perché fu abbandonato dalla madre appena nato.  Idealizza e demolisce continuamente la figura della donna. Madame è affascinante, ma anche tremenda, pur non essendo cattiva. Dona vestiti e gioielli alle serve. Io trovo questo testo attualismo perché emerge la brama di poter solo apparire perché non si può essere. Basti pensare alla bramosia che spicca dai social: il voler apparire a tutti i costi, mostrarsi al meglio quando, invece, dietro c’è l’orrore e da questa pièce affiora continuamente la mancanza totale di identità, come se non ci fosse prospettiva. ‘Le serve’ è stato definito favola dallo stesso autore: quello che provano queste donne non ha né passato, né presente, né futuro, una condizione umana universale. Favola in quanto son tutti e tre archetipi e credo che meriterebbe molta più visibilità come testo proprio perché vedi riflessi tanti aspetti di ciò che siamo.

Vanessa Gravina: il piccolo schermo e i social network

Lei ha scelto di non essere sui social network?

Sono quasi non classificabile. Ho dei fan molto carini che aggiornano sui miei impegni, però sto riflettendo sulla possibilità di aprire un profilo facebook anche per poter avere uno spazio in cui esprimere un’opinione su ciò che avviene intorno, mi interesserebbe più per questo, che non per autocelebrarmi. Ovviamente a ciò si aggiunge l’idea di voler aggiornar il pubblico che mi segue. Al contempo sono terrorizzata dalla morbosità e dalla deriva degli stalker; nel tempo ho avuto dei fake e anche quelli mi hanno preoccupato perché non sai mai cosa possono dichiarare o fare a tuo nome. Diciamo che finché riesco, resisto all’entrare in questo mondo. Ho un bel sito internet, dove vengono inseriti soprattutto gli eventi dal vivo.

Forse all’idea di celebrità a tutti costi è connessa anche la deriva televisiva

La deriva corrisponde al mostrare tutto. Questi format da una certa prospettiva possono risultare interessanti in quanto presentano l’individuo sulla tenuta nella vita. Se il pubblico richiede quello, evidentemente vuol dire che la società ha bisogno di osservare dal buco della serratura l’uomo alle prese con se stesso; io non lo trovo così stimolante. Credo che ci si debba mostrare quando si propone effettivamente qualcosa come accade in programmi in cui si assiste a performance artistiche (da ‘Ballando con le stelle‘ a ‘Tale & Quale Show‘). Io sono sempre stata un po’ schiva. Tutto ciò mi fa riflettere e bisogna prenderne atto; poi sono scelte e rispetto ogni persona, non dobbiamo pensarla tutti allo stesso modo.

Credo che il suo percorso professionale denoti ciò che ha appena raccontato…

Sono una persona molto attenta, ma ammetto di esser stata anche tanto fortunata. Ho iniziato a lavorare molto presto e sono arrivata alla mia età con tanti anni di esperienza; condivido la mia vita con un compagno per cui non sono sola nell’affrontare il domani più nero. Ho passato pure dei periodi di grande crisi e ho la forza di non lavorare se non mi capita la situazione giusta. Certamente il piccolo schermo è nel mio cuore: è talmente potente il poter entrare in contatto con milioni di persone e portarti la stima del pubblico, che è poi ciò che ti consacra a livello mediatico.

Vanessa Gravina: i ruoli femminili e la drammaturgia contemporanea

Se si guarda ai ruoli importanti femminili che ha interpretato appartengono soprattutto al teatro classico (da Lisistrata a Elettra o ancora la bisbetica domata) come mai? Non riesce a trovare un personaggio nella drammaturgia contemporanea?

Forse è un po’ il mio karma antico, però effettivamente è così. [E propositiva aggiunge] facciamo un appello agli autori viventi: posso essere idonea anche per questo.

In particolare per i nostri autori c’è ancora difficoltà nell’emergere…

Si sta facendo largo Stefano Massini, che reputo straordinario. Il problema sta sempre nella circuitazione: o c’è dietro uno Stabile che ti sostiene oppure è tutto più complicato. Anche rispetto agli autori stranieri non è semplice inserirli in cartellone.

Vanessa Gravina: il rapporto con Milano e Roma

Lei è nata a Milano, ma ha deciso di vivere a Roma. Dato che ha provato entrambe le realtà, Milano è davvero un’isola felice in ambito teatrale?

Non so quanto possa far testo dato che in questo periodo sto vivendo l’esperienza del Piccolo e la platea è sempre gremita. È una città che funziona molto anche sul piano dell’internazionalità; senza contare che è molto più facile spostarsi visti i collegamenti. A Roma, tanto più in un giorno di sciopero, puoi uscire da teatro e ritrovarti in serie difficoltà perché magari vivi dall’altro capo della città. Questo penalizza purtroppo. Dal punto di vista economico Milano fila di più e la cultura da noi è molto abbinata a un condizione di benessere, ma non è sempre così; spesso ci sono delle offerte sugli stessi biglietti teatrali e bisogna sempre più far delle valutazioni in tal senso così come va incrementato il ricambio generazionale. Il teatro non è un posto per anziani, ma per tutti e anche la prosa può essere avvincente.

Come ha trovato Milano?

È esplosa sotto tanti aspetti, non a caso il mercato immobiliare è ripartito.

Non si è mai pentita di aver optato per Roma?

Con tutti i difetti che ha, Roma è potentemente anti-depressiva, aperta, consente continui incontri, è anche un po’ baldracca offrendosi pure con fantasmi e problematiche. Ti permette di essere anche fragile. A Milano devi essere continuamente al passo e sul pezzo.

Vanessa Gravina e Strehler

Il 25 dicembre ricorrono i vent’anni dalla morte di Strehler, con cui lei ha lavorato da giovanissima. Il maestro aveva affermato: “Nel “teatro” l’attore, necessario, indispensabile perché il testo divenga, ha queste caratteristiche fondamentali: non è artista – non interpreta – non cerca la verità. Il problema che riguarda “l’arte” dell’attore è un problema che non ha mai toccato l’essenza del teatro. Originariamente si poteva intendere “arte” soltanto nell’accezione di “mestiere”. Nel teatro esiste un solo artista: l’autore del testo drammatico”. Cosa ne pensa?

È un po’ un ossimoro ciò che dice ma mi spiego meglio…Io ho avuto l’onore di cominciare con lui. Il teatro di regia di Strehler è un tipo di teatro che ha sfornato degli straordinari primi attori, basti pensare a Milva, Andrea Jonasson, Tino Carraro, Graziosi, Soleri, nomi celebrati nel mondo. Penso che lui, dicendo che devono emergere il testo e l’autore, si riferisca all’umiltà dell’attore e io lo condivido pienamente. Si tratta di un’onestà intellettuale, in teatro non c’è spazio per il divismo stupido o i capricci, devi essere professionale e corretto anche negli orari. Certo credo anche che nel momento in cui si dà vita a un personaggio, l’attore contribuisce a creare e quindi diventa per forza artista. L’arte è un modo di vedere la realtà. Questo mestiere è anche la capacità di trascendere.

Vanessa Gravina: i prossimi progetti

Cosa l’aspetta prossimamente?

Proseguiamo ora con ‘Le serve‘ (sarà anche in scena al Palladium di Roma dal 19 al 22 ottobre e al Nuovo di Napoli dal 25 a 29 ottobre, nda), ma ho già iniziato le prove de ‘Il piacere dell’onestà‘ con Geppy Gleijeses per la regia di Liliana Cavani, debutteremo nel 2018. Riprendo anche ‘Queste pazze donne‘ una commedia pura, dal ritmo intenso, scritta da un autore tedesco contemporaneo, Gabriel Barylli. Sul palco ci sono Emanuela Grimalda e Paola Quattrini e la regia è di Stefano Artissunch. A febbraio dovrebbe andar in onda su Canale 5Furore 2‘ sull’immigrazione avvenuta in Italia negli Anni 40 – 50. Ho ritrovato con grande gioia Remo Girone, che avevo incontrato ai tempi de ‘La Piovra‘; interpreto una donna che cela tanti misteri. La serie è composta da otto episodi, alla regia, c’è un giovane molto bravo, Alessio Turri, mentre la produzione è Ares Film.

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