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La stoffa dei sogni: recensione del film con Sergio Rubini

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L’espressione “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” ormai è nota a tutti, anche a chi non ha mai letto le parole del Bardo. Dopo esser stato presentato in anteprima al Bif&st 2016, La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu è stato distribuito da Microcinema nelle nostre sale, dove continua a resistere nonostante siano in programmazione film molto più commerciali. Questo avvalora l’idea che il cinema possa unire la semplicità con una profondità che non è sinonimo di pesantezza. In più qui c’è un tassello fondamentale e fondante: il teatro.

Il regista cagliaritano, che, ai suoi esordi, ha conosciuto e lavorato a diretto contatto con Eduardo De Filippo, sceglie di ispirarsi (liberamente) a ‘L’Arte della Commedia’ dell’artista napoletano e alla sua traduzione de ‘La tempesta‘ di Shakespeare, dando così vita a una personale stoffa dei sogni.

Camorristi in fuga e attori in cerca di riconoscimento si ritrovano dopo un naufragio su un’isola-carcere (siamo all’Asinara, nda) e si mescolano. Sotto lo sguardo indagatore del direttore del carcere che ha imposto ai naufraghi la messa in scena de ‘La tempesta’ convinto di smascherare i camorristi/naufraghi; all’amore tra l’inquieta figlia del Direttore e il figlio del boss, alla figura dolorosa di Calibano unico abitante superstite di un’isola “occupata” dal carcere, per assonanze e similitudini con il testo shakespeariano, procede la vicenda umana dei personaggi, nella sottile linea che divide il vero dal verosimile nel palcoscenico della vita” (dalla sinossi ufficiale).

Potremmo dire che le tre figure “paterne”, su tutte quella del capocomico Oreste Campese (che echeggia nella mimica e nella scrittura stessa lo stesso Eduardo), sono quelle che più citano i testi letterari a cui ci si ispira (a parte momenti in cui viene messo in scena il testo shakespeariano), ma non per il puro amore della citazione, facendo, invece, proprie quelle parole.

Ne La stoffa dei sogni c’è una grande cura artigianale nella messa in scena così come nella messa in quadro, quell’attenzione che commuove e che ricorda un certo modo di fare durante le prove e nella rappresentazione del cosiddetto ‘teatro semplice’ – basti pensare all’incipit del film che vuole subito evocare la tempesta.

Gran parte del merito della riuscita di questo film risiede, quindi, in primis nell’ottimo equilibrio che Cabiddu – co-sceneggiatore insieme a Ugo Chiti e Salvatore De Mola e con la collaborazione di Francesco Marino – è riuscito a creare tra le potenzialità della Settima Arte nell’incontro con le peculiarità dell’arte più antica, quella teatrale.

In seconda battuta, infatti, va riconosciuto l’apporto dell’ottimo cast (Sergio Rubini, Ennio Fantastichini, Alba Gaïa Bellugi, Renato Carpentieri, Francesco Di Leva, Ciro Petrone, Luca De Filippo, Teresa Saponangelo, Nicola Di Pinto, Jacopo Cullin, Fiorenzo Mattu). Ognuno di loro ha saputo calarsi nei rispettivi ruoli percorrendo, come dei funamboli, quel confine tra realtà e finzione fino ad addentrarsi nella “zona franca” del teatro, luogo principe per la catarsi.

Voto: 7,5

Una frase: “E che fai improvvisi? Questo è Shakespeare”

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