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Magic in the Moonlight, l’ultimo Allen e l’amore: la recensione

Magic in the Moonlight

magic-in-the-moonlightUn mago che tenta si smascherare una sedicente e irresistibile chiaroveggente, atmosfere patinate anni ’20 sullo sfondo di un’assolata Riviera francese. Tutto questo è Magic in the moonlight, l’ultima commedia romantica di Woody Allen in uscita nelle sale dal 4 dicembre.

Lui è Stanley (Colin Firth) nonché il grande illusionista Wei Ling Soo, un uomo un po’ spocchioso, razionale e irritabilmente sicuro di sé, lei è Sophie (una raggiante Emma Stone) affascinante medium da poco trasferitasi con la madre Grace (Jacki Weaver) nella sontuosa residenza della famiglia Catledge in Costa Azzurra, al fine di mettersi in contatto con il defunto marito della padrona di casa.

Stanley, convinto dal vecchio amico e collega Howard (Simon McBurney), si reca in missione a villa Catledge per sbugiardare la bella impostora Sophie, dopo il primo incontro fra i due si scatena una sorta di maliziosa ricorsa fra “gatto e il topo” in cui il ruolo di consigliera è affidato a Vittoria (Eileen Atkins) sagace zia di Stanley e con un terzo incomodo: Brice (Hamish Linklater) inarrestabile suonatore di okulele e irriducibile innamorato di Sophie.

In una continua autocitazione Allen propone una commedia leggera dove l’aspetto magico e irrazionale sembra il tema portante, non è necessario cercare tanto lontano in un incipit che ricorda l’esibizione del mago Voltan nella Maledizione dello Scorpione di Giada, oppure quella di Shandu autore della misteriosa sparizione di una bisbetica Mae Questel, madre di Allen in Oedipus Wrecks, tuttavia a questa leziosa commedia mancano proprio quei colpi di scena, quei guizzi geniali del “buon vecchio Allen”.

 Il film è popolato da personaggi tanto leggiadri quanto inesorabilmente arroganti. Stanley (alter ego di Allen) con le sue elucubrazioni mentali sulla esistenza di Dio e la insana necessità di ricondurre tutto ad una spiegazione logica, finisce poi per ritrovare la sua “anima” attraverso l’amore che altro non è che magia. Magic in the Moonlight, per merito di un direttore della fotografia come Darius Khondji, è un film fondamentalmente d’atmosfera luminoso e gioioso, un affresco degli anni ’20 fatto di spiagge luccicanti, macchine old style, pizzi e vezzosi cappellini, ma dove lo script risulta un po’ inconsistente. Una commedia che fila via liscia e senza pretese, ma che di fatto lascia un po’ a bocca asciutta uno spettatore dalle alte aspettative.

 Voto per noi: 6,5

 Una frase: “È  molto simpatica, anche se è una truffatrice”